Da zero a cento miglia

Era il 2021, da poco mi ero trasferito dall’Umbria al Trentino. Avevo 37 anni e la mia vita sembrava correre in un’altra direzione: lavoro, studio per la seconda laurea, giornate piene di impegni. Lo sport, che un tempo mi apparteneva, era rimasto chiuso in un cassetto, quasi dimenticato.

Poi una notte accadde qualcosa. Sognai di correre in un bosco. Non ricordo il luogo né i dettagli, ma ricordo la sensazione: libertà, respiro, vita. La mattina dopo cercai su internet un’associazione di corsa dove poter muovere i primi passi. E mi imbattei in un nome che sembrava già una promessa: Gente Fuori Strada.

Fu lì che incontrai Alessandro Libardi, dirigente dell’associazione. Mi accolse con naturalezza, credendo in me quando non avevo né esperienza né risultati. Non potevo immaginare che, anni dopo, sarebbe stato proprio lui a consegnarmi la fibbia della mia prima 100 miglia.

L’inizio, però, fu un disastro totale. Mi buttavo in ogni gara senza alcun criterio, convinto che bastasse la voglia per andare avanti. Non sapevo nemmeno distinguere un trail da un vertical, correvo con attrezzatura sbagliata e senza la minima idea di come ci si preparasse davvero. Ogni partenza era un salto nel vuoto, e spesso diventava una figuraccia.

Un giorno arrivarono persino a farmi uno sgambetto in gara, solo per prendermi in giro. Ero un principiante allo sbaraglio, facile bersaglio di chi non credeva che avrei avuto la forza di andare avanti. Ma proprio quel gesto, invece di fermarmi, accese in me una scintilla ancora più grande: la voglia di dimostrare, prima di tutto a me stesso, che potevo farcela.

La svolta arrivò quando entrai in un progetto del CERISM di Rovereto, dove trovai allenatori e metodo. Non ero più un appassionato allo sbaraglio: stavo costruendo un percorso. Lì fissai il sogno più grande: arrivare alle Ultra.

La prima fu la Malcesine Baldo Trail: 50 km e 3450 metri di dislivello positivo. Una gara dura e bellissima, chiusa al 18° posto assoluto. In quell’arrivo maturai la consapevolezza che quella era la mia strada e che avrei potuto inseguire un sogno ancora più grande: la 100 miglia.

Da allora mi allenai con dedizione totale: pioggia, neve, freddo, buio, ogni condizione era un’occasione per diventare più forte.

Insieme alla corsa, però, cambiavano anche le relazioni attorno a me. Non tutti capivano la direzione che stavo prendendo: c’era chi mi vedeva come ossessionato, chi pensava fossi esagerato. Alla fine il cerchio si è stretto, lasciando accanto a me solo le persone che hanno compreso davvero l’importanza del sogno che stavo inseguendo. Ed è grazie a loro che non ho mai smesso di crederci.

In quel cammino ci fu anche un momento speciale, forse il più personale di tutti. Organizzai una gara trail dedicata a mio padre, un memorial per ricordarlo nel modo che sentivo più vicino: correndo. Non fu solo una competizione, ma un incontro di persone unite dallo stesso passo, dalla stessa fatica e dallo stesso desiderio di celebrare la vita. Quel giorno capii che la corsa può diventare anche un ponte tra ciò che non c’è più e ciò che resta, trasformando il dolore in energia e memoria viva.

Accanto alle gare, iniziai a vivere esperienze che andavano oltre la prestazione. Alla Milano Marathon ho spinto per 42 km un ragazzo disabile, come ambasciatore della Fondazione Ricerca Fibrosicistica. È stata un’esperienza che mi ha insegnato quanto la corsa possa diventare non solo sfida personale, ma anche condivisione e sostegno.

Poi arrivò l’Umbria Epic Adventure: 600 km e 10.300 metri di dislivello positivo in sei giorni, tra corsa, bici e persino canoa. Non fu solo un viaggio epico dentro la mia terra d’origine, ma anche un’occasione per promuovere la cultura della donazione come ambasciatore AVIS Donatori e per valorizzare l’Umbria insieme alle Pro Loco locali. È stata la dimostrazione che lo sport può diventare anche strumento di solidarietà e di valorizzazione del territorio.

Quell’avventura non è rimasta senza eco. Già nel 2023 avevo ricevuto un premio dalle istituzioni per la Milano Marathon, ma dopo l’Umbria Epic Adventure arrivò un riconoscimento molto importante: una pergamena ufficiale che sanciva il valore di quanto fatto per il territorio e per la solidarietà. In quello stesso periodo è arrivata anche un’altra tappa significativa: il mio ingresso nel Pro Program di The North Face. Non l’ho vissuto solo come un motivo di orgoglio, ma come una conferma del percorso intrapreso: la certezza che la strada che stavo seguendo aveva senso e valore, condiviso con una comunità che vive la montagna con la stessa passione e lo stesso spirito di resilienza.

Dopo l’Umbria Epic Adventure si è rafforzata in me la consapevolezza di poter arrivare a percorrere una 100 miglia. Durante quei sei giorni ho vissuto crisi profonde: abbiamo pedalato fino a tarda notte, affrontato momenti di stanchezza incredibili e superato situazioni in cui sembrava impossibile andare avanti. Proprio lì ho capito che dentro di me c’era una forza capace di resistere oltre i limiti, ed è da quella esperienza che ho trovato il coraggio per credere davvero nel sogno della 100 miglia.

E così, il 19 settembre 2025, alla Jurassic Miles (160 km e 4200 D+), mi sono trovato davanti alla mia sfida più grande. Più che una gara, fu un viaggio dentro me stesso. Al km 90 una distorsione alla caviglia rischiò di fermarmi. Il dolore era forte, ma la voce interiore era più chiara: “Non mollare.” Da quel momento non correvano più le gambe, ma l’anima.

Alla fine ce l’ho fatta. Ottavo assoluto alla mia prima 100 miglia. Al traguardo, dopo aver suonato la campana dei finisher, c’era Alessandro Libardi, lo stesso che mi aveva accolto quando ero soltanto un principiante allo sbaraglio, pronto ad abbracciarmi e a consegnarmi la fibbia.

In quell’istante ho sentito che il cerchio si era chiuso. Tutti i sogni, le cadute, le notti di allenamento, i dubbi, le rinunce: tutto trovava un senso. Non era soltanto la fine di una gara, ma il compimento di un viaggio.

Ho capito che lo sport non è solo prestazione o cronometro, ma trasformazione.

Che la vera forza non sta nei muscoli, ma nel coraggio di rialzarsi ogni volta che cadi.

E che ogni ostacolo, per quanto grande, non è mai la fine, ma l’inizio di qualcosa di più grande.

Perché ciò che resta, oltre ogni fatica, è la certezza che rialzarsi sempre è la vera vittoria.

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