LE TANTE VITE DEL TELEMARK

Le tante vite del telemark 

di Giorgio Daidola 

Non mi sembra vero. Sono passati più di quarant’anni da quando provai per la prima volta la curva genuflessa. Era la primavera del 1982. Sulle Alpi non vi era nulla di più morto e sepolto del telemark. Pochi l’avevano pianto anche se fu lui il primo a permettere di godere delle meraviglie dello sci ad inizio Novecento. Per me fu amore a prima vista. Dopo tanti anni di sci alpino sentivo il bisogno di un ritorno alle origini, di uno sci più naturale e meno tecnologico, di un rapporto più intimo con la neve. La mia fonte di ispirazione furono le foto del mio grande papà genuflesso sulle nevi di Clavière e di Passo Rolle negli Anni Venti e il “Manuale di sci, per salvare lo sci e lo sciatore” di Ettore Santi del 1949, con quelle meravigliose foto di tracce purissime che solo il telemark può disegnare sulla neve.

A conferma che i tempi erano maturi per una seconda “avatura” del telemark arrivarono nel 1984 alla redazione dell’annuario “Dimensione Sci” gli articoli made in Usa “Rivoluzione sugli sci” di Lito Tejada Flores e made in Canada “Inginocchiati e scia” di Pat Morrow. E, qualche anno dopo, nel 1991, quel pezzo di John Falkiner destinato a diventare un mantra dal titolo: “ Libera i talloni, libera la mente”. Nell’America del nord il telemark era stato riscoperto una decina di anni prima che nel vecchio continente da giovani sciatori hippies, soprattutto grazie al gran numero di immigrati norvegesi che non avevano mai abbandonato il telemark. Per dimostrare la superiorità della curva genuflessa i novelli “ski bums” a telemark si cimentavano sui pendii a 45º della stazione underground di Crested Butte in Colorado. Rick Wyatt arrivò a scendere a talloni liberi dai Grand Teton, una prima di sci estremo di Bill Briggs del giugno 1971…Se tutti erano d’accordo nel Nuovo Continente sulla superiorità del telemark per le grandi traversate con gli sci, come ad esempio quella dei fratelli Brad e Randall Udall lungo le 230 miglia del Muir Trail nella Sierra della California, non tutti lo erano per quanto riguarda queste performance su pendii ripidi che, senza togliere alcun merito a chi le faceva, venivano considerate da alcuni alla stregua di bravate: così le presenta infatti Lou Dawson, mente storica dello scialpinismo americano, nel suo volume “Wild Snow” del 1997. Occorre però notare che il dibattito su “condanna del telemark” o “difesa del telemark” non era nuovo negli Stati Uniti, dove era stato proposto nella Colorado Mountain Club newsletter fin dagli anni Trenta. Si affievolì solo con l’ingresso sul mercato americano delle nuove leggere attrezzature europee per lo scialpinismo rigido della fine degli anni Novanta, in particolare dell’attacchino Tourlite dell’ingegner Barthel commercializzato da Dynafit che relegò il telemark a sci da stazione. Sia come sia, per chi ha creduto fin dagli anni Ottanta come chi scrive nei piaceri della curva genuflessa, seguirono anni bellissimi di scoperta delle potenzialità del telemark per la pratica di uno sci alpinismo di ricerca, facendone lo stile ideale per i viaggi su montagne lontane e, last but not least, per stringere nuove durature amicizie internazionali. La Skieda di Livigno e le altre manifestazioni con protagonista la curva genuflessa diventarono così dei veri pellegrinaggi. Ricordo in particolare quell’anno in cui si arrivò a Livigno con gli sci ai piedi da più direzioni con delle vere traversate scialpinistiche, dando così alla settimana bianca che ci si accingeva a vivere il significato di un grande viaggio con gli sci. Fra quei viaggiatori c’era anche un simpatico ragazzo di Bologna, un certo Paolino Tassi, allora con i capelli lunghi, che non era ancora diventato la famosa guida alpina attenta al telemark e il protagonista con John Falkiner del bellissimo film “Le ali ai piedi” di Fulvio Mariani.

Nel 1988 arrivò a Courmayeur dalla Norvegia, dove il telemark non era mai andato del tutto in letargo, un giovane sciatore bello, simpatico e superdotato di nome Morten Aass. Morten era destinato a provocare un notevole salto di qualità e di attrattiva della curva genuflessa . Era stato invitato da Stefano De Benedetti, che in quegli anni aveva raggiunto la sua maturità di sciatore estremo, come protagonista di “The time machine”, la fiction ideata da Stefano e destinata a diventare un punto di riferimento per tutti gli sciatori desiderosi di scoprire il nuovo modo di sciare. Che con il telemark si potesse fare tutto, e con un attrezzatura primordiale come quella di allora (sci poco più larghi di quelli da fondo e lunghi 205/210 cm, scarponi di cuoio, attacchi three pins tipo fondo), Morten lo dimostrò molto bene nel film, che inizia e si conclude con la discesa a telemark della Sud delle Grandes Jorasses, sciata per la prima volta da Sylvain Saudan nel 1971. Poi, come capita spesso a tutte le cose belle e libere che sembrano destinate ad un meritato successo, qualcuno cercò di normalizzare anche il telemark con rigide progressioni didattiche analoghe a quelle dello sci a talloni bloccati. Parallelamente a Stati Uniti e Canada si sviluppò così in Europa un telemark che trovava nello sci da stazione dei maestri damerini e nell’agonismo, la propria ragione di essere. Le ditte produttrici delle attrezzature, nella maggior parte italiane, assecondarono questa tendenza. Nacque così un nuovo telemark simile nella filosofia e nella pratica allo sci alpino, con l’utilizzo di sci, di attacchi e di scarponi per i quali le variabili peso, semplicità e comfort venivano del tutto trascurate. Il gap con l’attrezzatura per scialpinismo si fece ancor più grande anche in conseguenza dei notevoli progressi fatti per quest’ultima nella versione rigida a talloni bloccati in discesa, con attacchi e con scarponi sempre più efficienti e leggeri.

Ad onor del vero per il telemark si fecero in quegli anni notevoli passi avanti, in termini di peso ed essenzialinità, con gli attacchi Newmark della ATK, che però non vennero capiti, mentre gli scarponi diventarono sempre più pesanti e rigidi, per assecondare le esigenze dei pistaioli. Fu così che il rinato telemark degli anni ottanta rimase confinato ad una piccola nicchia di affezionati, consolidata sì ma con grandi difficoltà a rinnovarsi. Gli adepti di questa nicchia non hanno però mai smesso di credere che una curva così ricca di fascino non avrebbe trovato, prima o poi, la possibilità di una nuova “avatura”. Ci andava innanzitutto un’azienda illuminata e coraggiosa per risolvere il problema del peso e dell'efficiena degli scarponi. Ancora una volta è stato il Calzaturificio Scarpa a cogliere la sfida, ad investire per far rinascere il vero fascino dello sciare a talloni liberi. Scarpa aveva già accompagnato il telemark nel difficile e pericoloso passaggio evolutivo dallo scarpone in cuoio a quella in materiale plastico. Il nuovo Scarpa TX PRO non è leggerissimo come lo si sognava ma bisogna ammettere che nel telemark i materiali sono sottoposti a un’usura decisamente maggiore a quella dello sci a talloni bloccati e quindi la robustezza non va assolutamente trascurata. Il risparmio di peso rispetto ai monumenti di scarponi precedenti è comunque apprezzabile. Che sia questa la nuova spinta evolutiva che mancava per far rinascere, questa volta nuovamente nella giusta direzione, la curva a talloni bloccati? Insieme a quelle innegabili dei leggeri e performanti attacchi Meidjo, Lynx e Kreuzspitze? Chi ha tenuto duro in questi anni senza lasciarsi attrarre dalle tante sirene che invitavano ad un ritorno allo scialpinismo a talloni bloccati in discesa non può che rispondere di sì. Perché il telemark non è moda e neppure esibizionismo ma modo di vivere lo sci che non solo non ha età ma che è per tutte le età. Anche per gli anziani come chi scrive, essendo la curva genuflessa molto più più sicura e naturale di quella a talloni bloccati. Il gelemark è soprattutto “più facile per girare sulla neve profonda”, come scriveva Ettore Santi a pag 83 del suo libro. Con il telemark si ritorna insomma a sciare come a camminare. Si riscoprono valori dimenticati come la lentezza e la dolcezza. Per farlo basta seguire i facili consigli di chi del telemark ha capito tutto quello che c’è da capire: mi riferisco ad un raffinato sciatore come Luca Gasparini, anima del Telemark Journal, la rivista internazionale che è un vero libro perchè viene pubblicata quando… è pronta! Il telemark, dice Luca, è più facile del cristiania parallelo: basta provare e capire la “magia” del ginocchio che imposta istintivamente la curva "senza fare nulla" per eliminare ogni tentazione di ritornare alle ripetività del moderno sci rigido.

Tutto questo non basta però per garantire al telemark di non morire un’altra volta. Un’ulteriore sfida, finora andata buca, aspetta la curva genuflessa, ed è la più importante. Si tratta di proporre ai bambini il “passo in curva” come la forma di sci naturale più adatta per imparare a sciare. Manco a farlo apposta Il problema da superare per raggiungere questo obiettivo saranno ancora una volta gli scarponi. I modelli per i piccoli proposti una ventina di anni fa’ sul mercato non ebbero purtroppo il successo che avrebbero meritato. Colpa forse di un marketing sbagliato e di una mancanza di apprezzamento della proposta da parte delle scuole di sci. Il regalo più bello che mi fece Scarpa 25 anni fa fu un scarponcino da telemark in cuoio fatto a mano per mio figlio di due anni. Un vero gioiello che fa ora bella mostra sulle pareti di casa, per ricordare una scelta molto importante. 

Frassilongo, 26 febbraio 2024

"tratto da skialper"

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